di Jeff Alworth

L’altra sera stavo parlando con un mio amico e lui si è lanciato in una difesa quasi lamentosa della qualità delle recenti birre di Stone: mi ha invitato a fare una degustazione alla cieca così che potessi appurare che il birrificio era in grado di produrre ottime IPA, che era ancora moderno e adeguato al mercato. A un certo punto della conversazione ho iniziato a riflettere su quanto fosse strana la premessa: Stone? Si tratta di uno dei tre o quattro birrifici che hanno fatto tendenza per una generazione di bevitori. Per buona parte di due decadi le loro birre sono state il metro di giudizio con il quale gli altri birrifici si sono misurati. Com’era anche solo possibile che stessimo facendo quella conversazione?

A metà degli anni ’90, una nuova generazione di birrai aggiunse una sorta di brio e di anticonformismo alla birra. Quella che poi si sarebbe chiamata birra artigianale esisteva già da molto tempo, ma era un movimento marginale all’interno della società americana. I primi pionieri avevano introdotto il concetto di “microbirrificio” tra i consumatori, ma questo non rappresentava una vera sfida. Erano, ovviamente, in contrasto con i grandi birrifici, ma erano troppo piccoli per dichiarare guerra al nemico: più simili a pirati, si adoperavano ai confini dell’impero piuttosto che intraprendere la marcia. Anche le realtà della nuova generazione erano piccole, ma erano audaci e con grandi ambizioni. Alcuni, come Dogfish Head, aspiravano a trasformare il mondo della birra: Sam Calagione era avanti anni luce rispetto ai suoi contemporanei nella sua previsione che la sperimentazione avrebbe, un giorno, guidato le vendite. Altri, come Greg Koch di Stone, promettevano di schiacciare i grandi birrifici. Anche quando Stone era agli esordi, era questo l’atteggiamento di Koch: “non sei degno”, diceva ai consumatori della vecchia lager gialla e frizzante.

Non è un’esagerazione dire che questa ondata ha dato vita all’immagine moderna della birra artigianale (se è la stessa immagine che avrà anche nel prossimo futuro è un’altra questione). Fino a quel momento, gran parte del dibattito sui birrifici artigianali era accondiscendente: erano piccoli o “micro”, erano “boutique”, con tutto ciò che comporta, erano stravaganti. I birrifici della metà degli anni ’90, tra i quali anche Lagunitas, non si sottomettevano ai grandi birrifici, né accettavano la propria posizione marginale. Erano spavaldi e risoluti e, così come Sid Vicious ed Exene Cervenka avevano fatto con la musica, rendevano la birra trasgressiva e attraente. I “microbirrifici” erano cresciuti tanto che il loro atteggiamento da cattivi ragazzi costituiva realmente una minaccia, tanto che i grandi birrifici se ne accorsero e ne furono, giustamente, preoccupati. Bisogna ricordare che questo è stato il momento in cui Anheuser-Busch ha acquisito una partecipazione in Redhook e in Widmer: se qualcuno ha mai definito Stone una “boutique” di fronte a Greg Koch, suppongo che l’abbia fatto solo quell’unica quella volta.

Ci è voluto questo tipo di ambizione per far entrare la birra artigianale nella coscienza pubblica. La sfida ricorrente per i piccoli birrifici era stata quella di convincere la gente ad abbandonare le piatte birre a loro familiari per entrare in una selva di nomi ambigui e sapori forti. Lo facevano gradualmente, con pale e amber ale, con dolci brown ale e con le porter. I birrifici della metà degli anni ’90 adottarono un altro approccio: facevano appello ai consumatori che ricercavano sapori estremi. Per creare il mercato che abbiamo oggi, questi birrifici capirono che bisognava dare un taglio netto con le lager industriali invece di scendere a una sorta di compromesso. In questo periodo il mercato raggiunse il suo primo plateau e il numero di birrifici addirittura calò, ma quando il settore artigianali ricominciò la sua crescita nel primo decennio del nuovo millennio, alla guida vi erano quei birrifici che avevano sposato (e definito) il nuovo mercato.

Al suo debutto a Berlino, Stone (che, in inglese, significa “pietra”) schiaccia letteralmente la concorrenza. Foto: Theresa Patzschke.

Ma quel periodo di contrasto è passato, ora ogni birrificio dichiara di essere anticonformista e differente: essere contro i grandi birrifici è considerato un elemento indispensabile per la propria autenticità. Il concetto che i birrifici debbano essere diversi e unici è stato interiorizzato, ogni comunicato stampa enfatizza quanto il birrificio che lo redige sia “innovativo” (una dichiarazione ormai tanto lontana dalla verità del prodotto da aver quasi perso ogni significato). E così come è avvenuto con il rock and roll, quando tutti sono punk nessuno lo è veramente, il che ci riporta a Stone.

Stone si è imposta come una forza rivoluzionaria. Il problema è: una volta deposto il re, poi cosa succede? I birrifici della metà degli anni ’90 volevano cambiare il mercato e ci sono riusciti: se nel 1996 negli Stati Uniti c’erano 1.149 birrifici e la percentuale di birra artigianale prodotta era del 2,5% di tutta la birra offerta sul mercato, oggi la produzione artigianale rappresenta il 15% (e il 25% del giro d’affari) e ci sono 5.300 birrifici. Le grandi aziende brassicole riconoscono già da tempo il potere dei birrifici artigianali e li stanno acquisendo. Il concetto stesso di birra, nel 2017, è completamente diverso da quello diffuso nel 1997.

Per i grandi birrifici più datati, soddisfare una base di clienti disseminata su tutto il paese rappresenta una sfida, mentre birrifici locali più piccoli e agili possono rivolgersi ai clienti in modo chirurgico, un milione di tagli che erodono piccole fette di mercato a Widmer Brothers, Sierra Nevada e New Belgium. È una sfida, però, soprattutto per quei birrifici che una volta facevano tendenza e che ora, entrando nell’età adulta, devono ridefinirsi. L’approccio di Stone, incentrato nel battere la concorrenza su qualità e sapore, è quasi certamente la scelta migliore, ma significa attraversare una fase delicata nella quale i clienti non li riconoscono più come i ragazzi di tendenza, ma non li vedono ancora come statisti adulti ed esperti. La tendenza si è evoluta e Stone sta cercando di capire come entrare nell’età adulta con garbo.


Testo originale:

https://www.beervanablog.com/beervana/2017/5/15/remember-when-stone-was-cool

Autore: Jeff Alworth

Data di pubblicazione: 16 maggio 2017


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