di Claire Bullen
Jeff Tweedy dice che l’inferno è color cromo, e credo di sapere cosa intende. I grandiosi e antichi birrifici Lager della Repubblica Ceca saranno anche stati costruiti da re, ma per trovare le loro birre bisogna guardare oltre le torrette e le ciminiere, oltre i cortili di mattoni e le fontane in cui due carpe primordiali si girano attorno lentamente, all’infinito, vecchie come il tempo. Ciò che stai cercando si trova parecchi metri sotto terra, sepolto in delle caverne. Per accedere alle cantine di Lager, bisogna rinunciare alla luminosa pioggia del giorno e avventurarsi in un mondo sotterraneo, di metallo e freddo perpetuo.


Importante è sapere quali scarpe indossare: stivali robusti, preferibilmente dalla suola dentellata e con scolpiture profonde e in buono stato, per non scivolare su eventuali passaggi eccessivamente umidi. Un parka sarebbe fuori luogo? No, non lo sarebbe, così come non lo sarebbero un cappello di lana, guanti e calze spesse.



Può sembrare iperbololico, ma il freddo è uno shock per il corpo: ci si può preparare psicologicamente, ma è impossibile evitare l’istintivo sussulto del corpo, come se sprofondasse in un lago ghiacciato. Si inizia ad ansimare e il respiro emesso dalla bocca calda si trasforma istantaneamente in vapore. Immagina di essere chiuso nella cella frigorifera di una macelleria, con grandi quarti di manzo appesi a dei ganci al soffitto. Oppure immagina di camminare in una notte d’inverno in un punto a caso della regione baltica: invece di tornare subito dentro per sederti accanto al fuoco, stringi una birra quasi congelata tra le mani nude e senti le dita irrigidirsi e arrossarsi ad ogni minuto che passa.
Il freddo in queste cantine ricorda la morte, ma è invece una forza vitale essenziale: dà vita alle birre. Dopo la fermentazione aperta, queste Lager ceche riposano sognanti nelle loro vasche per 10 o 12 settimane, finché non emergono pulite e mature. È appagante pensarle lì dentro a maturare e trasformarsi in qualcosa di grandioso.

Nel profondo delle viscere di questi birrifici, i muri sono costituiti da mattoni bagnati sui quali crescono colonie di muschio e muffa. Tutto il resto è metallo. In uno di questi, i tunnel sotterranei sono illuminati da luci gialle tremolanti e i corridoi sembrano bunker della guerra fredda o il set cinematografico de “Il terzo uomo”. L’atmosfera è noir, con luci soffuse e uno spazio inquietantemente deserto, senza nessuno. Il cervello riempie i vuoti con la colonna sonora di sgoccioli ed echi. I tini di Lager si venano di ruggine verde, come un rettile che cambi la pelle, e la Tmavý Ležák ha il sapore di un boccone di monetine. Viene da chiedersi se la ruggine si sia diffusa anche al loro interno.
Alla Pivovar Kutná Hora, invece, tutto è pulito, preciso. Un tino è coronato da un’aureola di krausen, la schiuma scolpita come banchi di neve a macchie marroni: potrebbe sembrare un tiramisù spolverato di cannella, ma ha un sapore amaro come il veleno. Procediamo spalla a spalla tra i corridoi stretti e guardiamo diverse birre venire spillate direttamente dai tini in flussi sottili. Al birrificio Albrecht, vicino al confine settentrionale del paese con la Polonia, beviamo Dark Lager con stinco di maiale sfilacciato, un piatto è quasi completamente grasso. E al Pivovar Cvikov, dove una foto di Václav Havel intento a trasportare un sacco di malto è attaccata a una trave di legno, passiamo da una cantina all’altra degustando la gamma del birrificio, le birre nominate ed enumerate a seconda dei loro gradi Plato.



Come descrivere la Světlý Ležák-Pale Lager bevuta direttamente dal tino, con doppia, o forse tripla decozione? Se spillata correttamente, con il suo cappello di schiuma innevato, la prima impressione è quella di una crema che scivola in una concitata effervescenza. La birra che c’è sotto è pane imburrato, butterscotch vecchio stile, ma adulterato, illecitamente amaro. Il palato si inonda di ricchezza che sfocia in una secchezza astringente.


Il fatto che ogni sorso lasci una sensazione di profonda insoddisfazione e il bisogno di un altro che lo segua è una caratteristica, non un difetto. Prima che i produttori di junk food realizzassero una formula chimica che avrebbe portato i consumatori a comprare infiniti sacchetti di patatine, alla ricerca dell’inafferrabile finalità della soddisfazione, i vecchi birrai della Boemia impararono a rendere la loro birra eterna. Ogni sorso, ogni bicchiere vuoto, ne genera un altro. Si può fare una pausa tra una sessione e l’altra di Lager, ma fino alla morte non ci si ferma.
[Disclosure: Questo viaggio è stato reso possibile da Euroboozer e siamo grati per il loro aiuto nel rendere il nostro assortimento di birre dell’Europa orientale più completo.]
Testo originale:
Autrice: Claire Bullen
Data di pubblicazione: 18 marzo 2020
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Bellissimo articolo,
Scritto con grande meticolosa rappresentazione…. Che esprime passione per la birra e grande capacità comunicativa
Sono d’accordo con te Giuseppe, ne sono rimasta affascinata quando l’ho letto la prima volta! Farò sicuramente altre traduzioni di articoli di questa autrice.