di Pete Brown

Una delle maggiori frustrazioni per i birrai è quando qualcuno che si proclama amante della buona birra insiste che dovrebbe sempre, senza eccezione, essere economica. È giusto condannare questo snobismo alla rovescia? O l’industria della birra e i suoi comunicatori potrebbero fare di meglio per spiegare e giustificare l’alto prezzo nelle etichette di alcune birre?

Lo scaffale “speciale” nella mia cantina.

In linea con la generale e costante decadenza di Twitter verso una piattaforma nella quale la gente si infuria per banalità e lancia improperi a persone che non conoscono, negli ultimi giorni si è assistito a un battibecco tra un gruppo di appassionati di birra e un paio di dissenzienti sui prezzi “esorbitanti” di certe birre di cui si parlava.

Sono intervenuto immediatamente a difesa dei birrai professionisti giustificando i costi di alcune birre, twittando:

“Mi sbalordisce sempre quando qualcuno che dichiara di amare la birra dice che non dovrebbe mai costare più di quanto paghi mediamente per qualsiasi birra. Non ho mai sentito un appassionato di vino dire che il Chateau Lafite, per esempio, dovrebbe costare quanto il Tavernello.”

Credo fermamente nella validità di questa comparazione, ma vedendo l’immensa ignoranza delle persone con le quali stavamo discutendo ho pensato due cose. Primo: sì, probabilmente non vale la pena prendersi il disturbo di avere a che fare con gente che per qualche motivo ha deciso di spendere il suo prezioso tempo su questa terra bisticciando con persone che non conoscono su temi dei quali non sanno assolutamente niente. Ma secondo: la frequenza con cui questo specifico atteggiamento emerge indica che forse abbiamo anche noi delle colpe. Non avviene solo sui social media: nei pub e nei bar quando c’è qualche birra particolare venduta solo in bottiglie da 33 o da 50cl, c’è sempre qualcuno che si mette a fare il calcolo di quanto costerebbe una pinta (anche se non puoi comprarne una pinta) e ne deplora il prezzo esorbitante. Certe volte diventa persino una notizia nazionale. Eppure, non vediamo mai gente lamentarsi di quanto sia un furto il fatto che una lista dei vini di un ristorante abbia un bianco della casa da 13,5 gradi a 16€ e un altro vino, sempre da 13,5 gradi, a 75€. Persino quelli (forse soprattutto quelli) che non ne sanno molto di vino accettano serenamente il fatto che alcuni vini valgano intrinsecamente più di altri. Se gli si chiede il motivo magari possono inventare una risposta, ma è più probabile che elaborino una spiegazione plausibile alle loro orecchie piuttosto che si mettano a polemizzare sui prezzi.

Il fatto che certe persone non siano capaci di fare la stessa cosa per la birra di certo dice più su di loro di quanto non faccia sulla birra, ma non possiamo dare tutta la colpa a loro. Alcune delle risposte a queste persone erano insofferenti, forse anche supponenti, e ho pensato: perché dovremmo presumere che la gente sappia queste cose quando, a meno che non siano avidi lettori di testi sulla birra o visitatori di birrifici, nessuno gliele ha dette?

Quindi, in un post che non farà assolutamente nessuna differenza per i dissenzienti professionisti il cui unico scopo è quello di far saltare i nervi alla gente su Twitter per potersi illudere che le loro piccole tristi vite abbiano un senso, ecco tre esempi, forniti con le migliori intenzioni, per spiegare perché alcune birre costano più di altre. Non sono gli unici tre, ma sono i primi tre che mi sono venute in mente.

1.ALCUNE BIRRE SONO PIÚ CARICHE DI ALTRE

Ecco una statistica interessante: in Nord America, i birrifici artigianali producono circa il dieci per cento del volume totale di birra brassata, ma acquistano il 25% di tutto il luppolo coltivato in America. Questo significa che, mediamente, i birrifici artigianali utilizzano due volte e mezzo la quantità di luppolo che utilizzano i birrifici commerciali e quindi che il costo del luppolo all’interno di ogni pinta è di circa due volte e mezzo maggiore (forse anche di più, se si considerano le economie di scala e le dimensioni degli ordini). Se a te le birre luppolate non piacciono o non ti va di pagare un extra per averle, è una tua scelta, ma di certo la logica finanziaria è innegabile. E questo prima ancora di considerare i costi aggiuntivi per garantire che una birra molto luppolata mantenga la giusta temperatura dal punto in cui è stata confezionata fino al punto in cui viene acquistata dal consumatore, per preservare la freschezza dei luppoli.

2. ALCUNE BIRRE HANNO TEMPI DI PRODUZIONE PIÙ LUNGHI DI ALTRE

Ci sarebbero diversi esempi validi, ma prendiamo le lager. La parola “lager” significa “conservare” ed è comunemente accettato che una lager di buona qualità venga lagerizzata a basse temperature per almeno quattro settimane. Questo perché il lievito genera vari composti aromatici durante la fermentazione primaria e secondaria, ma se lasciato agire abbastanza a lungo, riassorbe questi composti lasciando una birra fresca e pulita, limpida e rinfrescante, ma che conserva aroma e carattere. Il processo di lagerizzazione non solo ti congela il capitale per settimane perché ti impedisce di vendere la birra per la quale hai appena comprato tutti gli ingredienti e hai pagato qualcuno che la facesse, ma questa birra ha anche bisogno di essere conservata a basse temperature, a circa due gradi. Mantenere enormi stanze piene di tini a quella temperatura costante richiede una considerevole quantità di denaro. La Budweiser Budvar lagerizza le sue birre in questo modo per almeno novanta giorni. Alcuni marchi industriali vanno dal brassaggio al confezionamento in 72 ore. Se gli viene chiesto, rispondono che le moderne tecnologie hanno eliminato la necessità dei tempi di lagerizzazione. Ma provate ad assaggiare una birra lagerizzata come si deve a fianco a una prodotta in un paio di giorni e sarete scettici su questo.

3. ALCUNE BIRRE UTILIZZANO INGREDIENTI O PROCESSI PARTICOLARI

I lambic e le gueuze erano il fulcro del recente battibecco su Twitter. Ci sono molte eccellenti ragioni per cui queste birre sono costose rispetto a una lager industriale, ma voglio concentrarmi solo su una.

Invece di utilizzare lieviti coltivati in laboratorio per avviare la fermentazione dello zucchero in alcol, i produttori di lambic utilizzano i lieviti naturali presenti nell’aria che li circondano. Non è proprio la differenza che c’è tra lievito madre e lievito di birra, ma ci va vicino.  L’aria attorno a noi è colma di un cocktail vorticante di microflora la cui composizione cambia a seconda di dove vai. In certe zone del Belgio questo bioma aereo produce ottimi risultati nelle birre, in altre zone non tanto, quindi le birre in questo stile sono legate a un determinato posto. Ma questo cocktail non cambia solo a seconda di dove vai, cambia anche a seconda del periodo dell’anno: nei mesi più caldi la faccenda si fa un po’ affollata e insieme ai lieviti “buoni” che servono alla tua birra ci sino anche parecchie bestioline più brutte che fluttuano in giro pronte a rovinare la birra e renderla imbevibile. Questo significa che i produttori di lambic possono brassare solamente in certi mesi dell’anno. La stagione tradizionale va da ottobre ad aprile, quando la temperatura media varia da -8°C a +8°C, ma il riscaldamento globale implica che questa finestra temporale si stia stringendo: il caldo fuori stagione che stiamo avendo ora è catastrofico per i produttori di lambic. Da Cantillon, il birrificio lambic più famoso al mondo, la finestra temporale si è ristretta da 165 giorni nei primi anni del ‘900 a 140 giorni attualmente. All’interno di quel periodo, improvvisi picchi di temperatura significano che la birra deve essere buttata via. Si tratta di una piccola azienda familiare, quella che produce birra entro quei 140 giorni: una volta conservata per tre anni, maturata e miscelata, deve mantenere quelle persone per tutto l’anno. I prezzi devono aumentare o l’azienda chiude.

Non nego che ci siano produttori e commercianti opportunisti che stanno approfittando del boom della birra artigianale per vendere birre a prezzi ingiustificatamente gonfiati perché ci sono persone disposte a pagarli, ma offro queste tre storie come esempio del fatto che non tutte le birre sono uguali. Il brassaggio è un processo straordinariamente complesso e anche gli ingredienti che compongono la birra lo sono, ciascuno a suo modo.

Come tutto ciò che acquisti al supermercato, ci sono versioni meno costose e altre più costose: se tutto quello che puoi permetterti è la pizza surgelata del discount a 2€ sarebbe sbagliato giudicare, ma certamente riconoscerai che una pizza gourmet preparata con pomodoro e mozzarella di qualità è più saporita. I birrifici ti mettono davanti a una decisione analoga: se non sei interessato o non puoi permetterti prodotti di alta qualità va bene, ma è solo snobismo alla rovescia criticare quelli che sono disposti a pagare per averli.

Se qualcuno fosse interessato a saperne di più sulla complessa e meravigliosa filiera della birra e sull’incredibile apporto di agricoltori, botanici e scienziati alla creazione di grandi birre, prova a leggere Miracle Brew:

Non guarderai più alla birra allo stesso modo. Io non l’ho fatto.


Testo originale:

https://www.petebrown.net/2019/02/23/three-examples-of-why-some-good-beers-cost-more/

Autore: Pete Brown

Data di pubblicazione: 23 febbraio 2019


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