di Lars Marius Garshol

Il giorno dopo aver visitato il birrificio Finlandia Sahti, è stato il momento di Lammin Sahti, l’altro grande produttore commerciale di sahti finlandese. Il nome significa per l’esattezza “sahti di Lammi” e il birrificio si trova in una piccola farmhouse nell’omonimo comune, a circa 100 chilometri a nord di Helsinki (era una tappa della spedizione alla scoperta del sahti finlandese del 2018).

Il furgone di Lammin Sahti, fuori dal birrificio.

Abbiamo girovagato un po’ prima di trovare la casa giusta, ma ci siamo improvvisamente resi conto di averla trovata quando siamo stati accolti da un uomo con una maglietta giallo brillante con il logo Lammin. A parte la maglietta e i pantaloncini beige, era tale e quale ad alcuni dirigenti Nokia che ho incontrato quando ero consulente informatico. Era Pekka Kääriäinen, fondatore del birrificio e, come stavo per scoprire, figura centrale nella storia recente del sahti.

Entrando nel birrificio, la prima cosa che ho notato è stato un enorme cilindro di metallo in posizione orizzontale, poggiato su piedini anch’essi metallici e con il coperchio aperto. Per chiunque non fosse stato completamente inesperto di sahti sarebbe stato ovvio cosa fosse: era il tradizionale tino di filtraggio del sahti, il kuurna. Questo, però, in acciaio e molto più grande di quelli tradizionali, era più adatto a un birrificio commerciale.

Pekka a fianco al kuurna.

L’impianto era semplice ed essenziale: tino di riscaldamento, kuurna, fermentatore. E basta. Niente tino di rame per la bollitura del mosto, perché si trattava di un birrificio sahti e questo tipo di birra non richiede ebollizione.

Ad ogni modo, non era un birrificio molto grande: stando a Pekka, un lotto era di 1.300 litri e la produzione annua di 25.000 litri.

Mi è dispiaciuto saperlo, perché Lammin è un ottimo birrificio e, insieme a Finlandia, unico nel suo genere. Purtroppo, non ci sono molti produttori di vero sahti a questo mondo e messi insieme questi due birrifici producono solo 45.000 litri all’anno.

Ho chiesto a Pekka come ha cominciato e mi ha raccontato di aver iniziato a produrre birra nel 1970, quando aveva 14 anni, seguendo un amico, semplicemente perché pensava che fosse interessante. “A mia madre, però, non piaceva: ‘in questa casa il sahti non si fa’, diceva”.

“E tu cos’hai fatto allora?” non abbiamo potuto fare a meno di chiedere.

Pekka ci ha guardati con la sua solita aria inespressiva e determinata, poi ha scrollato le spalle: ha semplicemente continuato a farlo e sua madre ha dovuto accettarlo.

Successivamente ha deciso che voleva mettersi a vendere il mosto, un’attività commerciale piuttosto comune sia allora che in seguito: ha l’enorme vantaggio di evitare le tasse sull’alcol e di sottostare a una regolamentazione decisamente ridotta. Si vende semplicemente una tanica di plastica piena di mosto ai clienti che poi acquistano il classico lievito per sahti, il Suomen Hiiva, in un normale negozio e lo aggiungono al mosto e, in poco tempo, ottengono del sahti.

“Fui davvero sorpreso”, ha detto, “di aver ottenuto, invece, una licenza per la produzione di birra”. Ci ha spiegato che a quel tempo, ovvero nella metà degli anni ’80, c’erano solo quattro birrifici in Finlandia, tutti grandi produttori che realizzavano lager chiare, porter e nient’altro. “La cultura della birra allora era piuttosto scarsa”, ha proseguito Pekka, e l’avvio di Lammin Sahti creò grande scalpore, poiché era la prima volta in due decenni che avveniva qualcosa di interessante nella scena brassicola finlandese.

È venuto fuori che fermenta ancora il suo sahti con il Suomen Hiiva, un lievito da forno di produzione finlandese piuttosto insolito: fermenta velocemente, resiste ad alte temperature e può produrre un aroma di banana piuttosto potente, come abbiamo sperimentato al Finlandia Sahti. Per molti versi, è simile ai veri lieviti farmhouse, ma la sua reale origine è sconosciuta.

L’impronta del lievito nel Lammin Sahti è molto più contenuta rispetto a quella del Finlandia, ma le note di banana sono ancora presenti. “La gente a volte mi chiede se metto le banane nella birra. Io rispondo sempre ‘sì, certo!'”, ha annuito gravemente Pekka mimando poi il gesto di gettare caschi di banane nel kuurna. Ci siamo messi tutti a ridere, tranne lui, impassibile come sempre.

Questo era, in realtà, il suo terzo kit di brassaggio. Il primo era di legno, così come lo era, tradizionalmente, tutta l’attrezzatura per la produzione di sahti. Ad ogni modo, Pekka ci ha informati che la ricetta in 30 anni non è cambiata.

“La gente spesso mi chiede perché non faccio qualcosa di nuovo e io dico loro: ‘Voi fatelo pure, se volete, ma non chiamatelo sahti'”.

Gli ho chiesto se avesse mai provato a creare un sahti diverso. Pekka mi ha risposto che, ovviamente, sarebbe stato possibile: avrebbe potuto usare malti affumicati, per esempio, o includere segale maltata. Tutti questi ingredienti sono tradizionali, ma lui non ha motivo di brassare in questo modo, dal momento che sa come produrre questo suo sahti.

L’implicazione era abbastanza chiara: il sahti è una birra tradizionale, lo si realizza in base alla consuetudine e non si fanno scherzi. Immagino che se non fosse stato di Lammi, ma di qualche regione in cui negli anni ’70 si produceva ancora il sahti affumicato, allora l’avrebbe prodotto in quel modo.

Verso la casa di campagna.

Una volta visitato l’impianto, Pekka ci ha portato poco lontano lungo la strada, fino a quello che era l’edificio principale della farmhouse, dove viveva la famiglia, presumibilmente la casa nella quale sua madre diceva che nessuno avrebbe mai prodotto il sahti.

Ci siamo seduti e Pekka ha iniziato a servirci il suo sahti, una birra davvero impressionante: molto morbida e liscia, a bassa carbonazione e con un eccellente equilibrio tra la dolcezza da una parte e l’amarezza del ginepro mescolata all’abrasività tipica delle raw ale dall’altra. I sapori maggiormente percepibili erano di raw ale, caramello e minerali, ravvivati dal fruttato di banana comunque non troppo dominante: molto beverina. In effetti, così beverina che bisogna fare attenzione, perché i suoi 7,5 gradi potrebbero essere pericolosi.

Il contrasto con il sapore del Finlandia Sahti era evidente, così come lo era la motivazione, basata sul processo produttivo: nel birrificio, infatti, Pekka ci aveva detto di inoculare il lievito a 20°C e di usare un sistema di raffreddamento per evitare che la temperatura si alzi troppo. Questo sistema si avvia a 25-26°C e cerca di evitare che la temperatura superi i 30°C (il fatto che la temperatura di fermentazione sia più alta rispetto a quella di inoculo del lievito può sembrare strano, ma il lievito, quando fermenta lo zucchero, produce calore, quindi in una birra forte che fermenta velocemente la temperatura può aumentare parecchio).

Pekka usa il ginepro nel filtro, che dona aroma alla birra. Ci ha raccontato di aver provato ad utilizzarlo per fare birra negli Stati Uniti: le prime volte erano andati nella foresta a raccoglierlo, ma non aveva funzionato. Il ginepro americano “non ha sapore! è come un pino”, ha esclamato. Ingenuamente, non ho controllato di quale specie stesse parlando.

Successivamente, ha iniziato a portare con sé trucioli di ginepro quando brassava negli Stati Uniti e questa era una buona soluzione, ma nonostante lo avvolgesse nella plastica, al suo arrivo negli Stati Uniti tutto il suo bagaglio odorava di ginepro.

Pekka con un ramo di ginepro. A sinistra, sua moglie.

Tradizionalmente, il sahti di Lammi dovrebbe contenere del luppolo e Pekka una volta lo utilizzava, ma, ha spiegato mimando delle grandi manciate, in 1300 litri “non si ottiene nessun aroma, nessun sapore, nessuna amarezza… niente!”. In altre parole, c’era così poco luppolo nella birra che lo ha considerato inutile e ha smesso di usarlo.

Il Sahti non è sempre stato ben compreso dall’industria della birra. Pekka ci ha raccontato che 20 anni fa ci fu una conferenza per birrai commerciali vicino a Lammi, e lui fu invitato. A un certo punto un birraio commerciale si avvicinò a lui e gli disse: “Abbiamo discusso di sahti e abbiamo deciso che è una birra”.

Pekka non commentò in alcun modo, semplicemente passò oltre e il suo viso rimase inespressivo come sempre, ma era evidente che fosse ancora arrabbiato per quel commento.

Gli ho chiesto come stesse andando il sahti e mi ha risposto che la produzione era in calo, anche se stava diventando sempre più conosciuto. Poi ha aggiunto: “e non abbiamo tanti prodotti finlandesi”. Effettivamente, quante specialità culinarie finlandesi famose esistono? Il che rende il tutto un po’ strano: il sahti è una birra importante e un raro tesoro culinario finlandese, ma mentre la sua reputazione sta crescendo, la sua produzione sta diminuendo. Perché?

Pekka ha esportato il suo sahti a Berlino e la gente lì si lamentava che la birra fosse piatta e che avesse uno strano sapore. Quando poi spiegava perché la birra fosse così, la reazione era “è una buona idea!”.

Pekka seduto al tavolo.

E questo sembra essere un problema ricorrente per le farmhouse ale: hanno un sapore così diverso dalle birre a cui la gente è abituata che semplicemente non vengono capite. Molte persone devono farsi spiegare cosa stanno bevendo prima di poterlo apprezzare e questo, naturalmente, nella maggior parte delle situazioni in cui la gente beve birra non è possibile.

In Finlandia, dice Pekka, il sahti è conosciuto da molti, ma tende a dividere le opinioni: o lo si ama o lo si odia. Molti dicono “il sahti è una buona idea, ma io non lo bevo”.

C’è stato anche un cambiamento culturale: una volta ai matrimoni si serviva solo sahti, mentre ora si è iniziato a offrire una scelta tra vino e sahti.

Il contrasto con la Norvegia è abbastanza sorprendente: la maggior parte dei norvegesi non conosce nemmeno l’esistenza di una birra in stile norvegese, quindi non puoi chiedere ai norvegesi se a loro piace il maltøl, perché non hanno idea di cosa tu stia parlando. I produttori di sahti in Finlandia sono organizzati molto meglio rispetto ai birrai delle farmhouse norvegesi, producono su scala commerciale da molto più tempo di noi e i loro prodotti sono molto più conosciuti dal pubblico.

La cosa sconfortante è che, nonostante tutto questo, il sahti è ancora un tipo di birra piuttosto marginale in Finlandia e questo non è di buon auspicio per il futuro delle farmhouse ale in generale, anche se Pekka ha aggiunto che in Finlandia ci sono giovani che producono sahti, il che è incoraggiante.

Una sfida per lui è stata la politica del governo finlandese sulla produzione di birra in generale, che è piuttosto restrittiva, proprio come in Norvegia e Svezia. Pekka ha collaborato, con maggiore o minor successo, con altri due birrifici oltre a Lammin Sahti, ma i problemi con il governo sono stati un tema ricorrente.

A un certo punto ha esclamato: “Sono l’unico che paga le tasse”, il che mi ha lasciato molto perplesso. Il giorno dopo mi stavo chiedendo cosa mai volesse dire con questo, visto che ovviamente la maggior parte delle persone paga le tasse, ma più tardi è divenuto molto chiaro di cosa stesse parlando (torneremo su questo in un altro post).

È stato solo a questo punto che ho saputo che fu proprio Pekka a fondare l’associazione dei produttori di sahti e il concorso nazionale di birra sahti. Questo spiega perché si era messo in posa con i vincitori per essere fotografato dopo il concorso tenutosi qualche giorno prima.

Pekka fu anche coinvolto in un altro progetto per la promozione delle farmhouse ale: il concorso internazionale di “birre al ginepro”. Si trattava di una competizione di farmhouse ale sull’isola di Gotland, tra Finlandia, Estonia e Svezia. Tuttavia, quel concorso ebbe fine dopo pochi anni perché fu considerato troppo difficile da giudicare. Il che non è poi così sorprendente, dato che il sahti e il koduõlu sono birre molto diverse dall’affumicata gotlandsdricke svedese.

Con l’avanzare del consumo di sahti, e anche di altri alcolici, l’intervista organizzata si è più o meno spenta da sola e la situazione ha virato verso qualcosa di più simile a una festa.

Verso la fine della serata Pekka ci ha mostrato un vecchio album di foto di famiglia. Stavamo guardando vecchie foto degli anni ’40 e Pekka ce le spiegava: “qui c’è tutta la famiglia davanti alla casa”, “ecco qui la coppia davanti alla casa, questa è di luglio del 1944”. Il marito era in uniforme, quindi sembrava che stesse per partire per l’esercito. Nella pagina successiva: “ecco il suo certificato di morte, agosto 1944”.

Coerente al suo stile, Pekka non ha aggiunto altro, si è limitato a serrare la mascella nel suo modo ormai familiare.

Era verso la fine della cosiddetta guerra di continuazione, avvenuta durante la seconda guerra mondiale, quando i sovietici, sull’offensiva, stavano respingendo i finlandesi. La guerra finì nel settembre del 1944 e vide la Finlandia cedere ampie parti del suo territorio orientale all’Unione Sovietica. Queste fanno ancora oggi parte della Russia, ma almeno la Finlandia, a differenza dei suoi vicini baltici, ha mantenuto la sua indipendenza.

La festa è andata avanti fino a mezzanotte circa, quando abbiamo arrancato lungo le deserte strade di campagna fino alla casa che avevamo affittato.

Di ritorno.

Testo originale:

https://www.garshol.priv.no/blog/425.html

Autore: Lars Marius Garshol

Data di pubblicazione: 15 novembre 2021


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