di Pete Brown

Dover affrontare una categoria di birre che non avevo il piacere di bere ha per un attimo suscitato in me delle riflessioni filosofiche e mi sono chiesto se ci sia un approccio narrativo differente tra degustare una birra e gustarsela.

Adoro essere giudice al Brussels Beer Challenge: è uno dei miei concorsi preferiti perché ha una portata globale, ma si svolge in Belgio, il che significa che le birre che degusti durante la sessione di assaggi devono confrontarsi con quelle che bevi in un tipico bar dietro l’angolo. L’anno scorso ho dovuto giudicare 24 tripel in stile belga la mattina e poi abbiamo visitato il birrificio trappista di Westmalle nel pomeriggio e bevuto la Westmalle Triple e…beh, sarebbe scortese nei confronti dei birrai partecipanti al concorso terminare questa frase, alcuni di loro si erano impegnati davvero molto.

Lo scorso novembre sono tornato a Bruxelles in qualità di giudice. Non sai mai che categoria ti capiterà: accetti il fatto che te ne capiteranno alcune delle quali non sei proprio un fan, ma speri che la situazione venga bilanciata e che te ne capitino di migliori. A volte, come avevo scoperto con le tripel l’anno prima, ottenere uno stile che ti piace può avere un rovescio della medaglia, ma può succedere anche al contrario? È possibile trovare qualcosa di eccezionale in una categoria che pensi di detestare?

Alle 9.15 di quel sabato mattina, l’ho scoperto: 47 birre alla frutta aspettavano di essere sorseggiate, degustate e giudicate.

Non si trattava di berliner weisse o di IPA con aggiunta di frutta, né di kriek: erano birre in cui la frutta (o lo sciroppo o il concentrato di frutta) era l’aroma principale. Non bevo quasi mai queste birre. Tutto il tavolo era in trepidazione in attesa del prevedibile assalto ai nostri preziosi palati. Come giudicarle?

C’erano linee guida e in molti concorsi giudicare in base allo stile è la cosa più importante: puoi trovare la migliore birra che abbia mai bevuto nella tua vita, ma se ha più unità di colore o una maggiore luppolatura o un ABV diverso rispetto a quello indicato dalle linee guida, devi penalizzarla, per questo preferisco sempre i concorsi che lasciano un qualche margine per la qualità della birra. Ma con uno stile che come consumatore non mi piace, come dovrei giudicare la sua attrattiva al di là del fatto che sia “in stile” o meno?

Riflettendo su questo, ho iniziato a pensare al modo in cui beviamo e gustiamo la birra. La gran parte delle persone che bevono birra non passano molto tempo a pensare a cosa stia succedendo in bocca e va bene così: la birra è un lubrificante sociale e mentre la bevi la maggior parte della tua attenzione si concentra su qualcos’altro. È esattamente come quando leggi mezza pagina di un libro e ti rendi conto che non l’hai recepita perché stavi pensando a qualcos’altro o quando c’è della musica e non riesci a ricordare quali siano le ultime canzoni che hai sentito perché stavi ascoltando il tuo amico parlare: c’è una bella differenza tra il fatto che la bocca, il naso, gli occhi e gli altri organi rilevino lo stimolo sensoriale e il fatto che il cervello vi presti veramente attenzione. Quando si degusta una birra, a differenza di quando la si beve, la grande differenza non sta nella dimensione o nella forma del bicchiere, nell’annusarla o nel farla roteare: sta nel semplice atto di dirigere l’attenzione alla birra stessa piuttosto che a qualcos’altro.

Ho visto molti appassionati di birra artigianale trangugiare birre che avevano pagato un sacco di soldi e delle quali professavano di avere una profonda comprensione. Non c’è niente di sbagliato: anche se questo limita le percezioni sensoriali al primo paio di sorsi, sembreresti un po’ cafone se continuassi a concentrarti sulla birra fino alla fine del bicchiere, escludendo qualsiasi altra cosa stia accadendo attorno a te.

Ma a volte chi di noi ama la birra vuole veramente interrogarsi e riflettere su questo tema, non solo quando devi valutarla come giudice. Un’enorme porzione di letteratura sulla birra è costituita dalle note di degustazione. Ed ecco il mio problema: in base alle mie letture su BeerAdvocate e RateBeer e alla mia esperienza di giudice nei concorsi al fianco di esperti di birra, credo che troppo spesso la degustazione della birra possa scadere in una gara fastidiosa su chi riesce a percepire e identificare i vari elementi che contiene. Sebbene sia corretto identificare i luppoli e i malti utilizzati o essere capaci di percepire note di ibisco, caramello salato, sigaro cubano o quello che sia, sospetto sempre che le note di degustazione su questo tono dicano più del degustatore che non della birra. Ecco un esempio che ho preso a caso anni fa su BeerAdvocate a supporto della mia tesi:

“Dopo averla fatta roteare per un po’, percepisco del creosoto, un lieve sottofondo di luppolo, del mosto di malto. Il sapore è amaro e asciutto, forte presenza di tostature, un po’ come vecchi fondi di caffè. Finisce con delle astringenze”.

Se ti stai interessando alla birra e frequenti siti di questo tipo, probabilmente riesci a capire bene questo testo. Ma qual è in realtà il suo obiettivo? Onestamente da questa descrizione io non saprei dire se al degustatore questa birra piaccia o meno e, quindi, non sono neanche sicuro che piacerebbe a me. Identificare una serie di elementi e sensazioni disparate è la stessa cosa che descrivere una birra o valutarla?

Io non penso.

Pensa alla letteratura: immagina di leggere l’introduzione di un nuovo personaggio. Quand’è stata l’ultima volta che hai letto una descrizione del tipo “era alta circa un metro e sessanta, con i capelli castani. Era caucasica, aveva circa trent’anni, indossava una gonna blu e una giacca sopra a una camicia bianca, accessoriata con una sciarpa di Laura Biagiotti e scarpe nere”.

Questa la puoi trovare in una denuncia alla polizia, non in un testo creativo. Descrive una persona, ma non mi fa affatto capire chi sia quella persona, se io possa essere interessato a parlarle o perché dovrei volerla conoscere. Un bravo scrittore può fornire una fervida immagine di una persona reale senza citare alcuno di questi dettagli.

Ma dovrei parlare di degustazione, non di scrittura. Il punto è che se accettiamo il fatto che la degustazione della birra dovrebbe essere costituita da note su una serie di aromi identificati, ci sentiamo spinti ad andare semplicemente in cerca di più ingredienti possibili e dei più inconsueti piuttosto che pensare al prodotto globale.

Alle prese con le mie birre alla frutta, mi sono reso conto che questo non sarebbe stato positivo. Prendiamo una birra alle fragole: “sentore di fragole”. Ok, grazie, e la cosa si fermerebbe lì. Ma il fatto è che in quella sessione io ho assaggiato birre alle fragole buone (beh, una) e non buone. Qual era la differenza?

Quella buona sapeva di una birra con un sentore di fragola, piuttosto che di una soda alla fragola. Era ancora riconoscibile come birra e la fragola sapeva di fragola e non di sciroppo alla fragola: la parte di fragola e la parte di birra erano unite in modo armonico, si sentiva che erano fatte per stare insieme.

Alla fine della mattinata avevo trovato varie birre che mi erano piaciute e avevo abbozzato alcuni pensieri su come, in un contesto analitico, degustare veramente la birra possa essere più producente rispetto al preponderante approccio “identifica gli aromi”.

ASPETTO

In un’era di torbide birre artigianali, è una componente problematica e gli vengono destinati troppi punti nei concorsi. Alcune birre davvero rivoltanti appaiono pulite, limpide e brillanti e per questo ottengono più punti del dovuto. Dipende anche dal tipo di birra ordinata: è come te la aspettavi? È come la vorresti? Ti fa venire voglia di berla?

OLFATTO

È in questo campo che si genera la gara a chi sente cosa e da questo punto di vista non ci sono differenze con il vino. È anche il momento in cui ciascun degustatore si espone ad accuse di pretestuosità.

È sbagliato prestare sempre tanta attenzione all’aroma perché in realtà gli esseri umani acquisiscono la maggior parte delle loro percezioni olfattive attraverso l’olfatto retronasale, il che significa che l’aroma si percepisce quando è in bocca o lo si sta ingoiando: sale fino alle cavità nasali attraverso il retro della gola e supera il bulbo olfattivo mentre si espira dal naso.

Invece di pensare a questo passaggio come a delle note su una serie di aromi identificati, potresti provare a pensarlo come un corteggiamento: c’è un qualche aroma o no? Se non c’è, perché?

Nonostante la questione retronasale, questo è un grande indicatore (anche se non infallibile) dell’aspetto principale. L’aroma dovrebbe attrarti: ti disgusta, invece? O ti fa venire voglia di perdertici dentro? L’aroma di alcune grandi birre imponenti mi fa venire voglia di continuare ad annusarle e mi dimentico quasi di berle. In rare circostanze, come avviene con il caffè espresso o con il pane appena sfornato, il gusto potrebbe anche non essere all’altezza delle aspettative generate dall’olfatto, ma in generale mi aspetto che questo aumenti il mio desiderio di bere. Qualunque sia il modo in cui lo fa, se non lo fa significa che non funziona.

GUSTO

Ovviamente, è questo l’aspetto principale. Nel primo momento in cui la birra entra in bocca, prima che la parte razionale e analitica del cervello entri in azione, si avverte un’iniziale rapida sensazione di gusto: sei in grado di avvertirla e valutarla? Quali sensazioni ti da? Sono sempre più dell’idea che per poterla cogliere sia meglio iniziare con una bella sorsata piuttosto che sorseggiare delicatamente.

Una volta che inizia ad evolvere, si muove sul palato? Si sviluppa mentre si muove all’interno della bocca o rimane ferma in un punto, o si tratta solo di un guizzo veloce, di qualcosa che sparisce subito? È complesso o monodimensionale?

A questo punto, io inizio a pensare se effettivamente mi sta piacendo la birra e, a seconda di quanto ti senti a tuo agio con questo tipo di riflessioni, questo è il momento in cui o diventiamo pretestuosi oppure separiamo le birre buone da quelle che non lo sono. Qual è il senso di questa birra? Cosa sta cercando si essere? E ci riesce?

Se sta cercando di essere semplice, diretta e rinfrescante, ci riesce bene o ci sono delle note particolari che spiccano? (Non ho niente contro una lager pulita e limpida, ma se ci sono dei sapori incongruenti a causa di una tecnica mediocre o di tempi di lagerizzazione brevi, questi compromettono l’obiettivo).

Se sta cercando di essere complessa e gratificante, tutti quegli ingredienti costitutivi che i cacciatori di birra amano identificare così tanto sono armonizzati o sono in contrasto tra loro? (A volte credo che alcune birre artigianali complesse siano una debole collezione di elementi in cerca di un’idea).

FINALE

Il retrogusto è un’esperienza sensoriale dovuta in parte alla questione retronasale e in parte al fatto che alcune birre sono persistenti. Come ti senti dopo aver mandato giù il primo sorso? Sei soddisfatto? Ne vorresti ancora? Questo è significativo: quante volte pensi che non sia così, ma ti forzi a berla comunque perché l’hai pagata? Quante birre insipide hai finito con risoluta determinazione? E quante volte la campanella, che in Inghilterra invita a fare un’ultima consumazione prima della chiusura del locale, ti spinge a ordinarne un’altra?

Alla fine della mia linea di birre alla frutta ne avevo individuate alcune che mi piacevano e ho trovato l’esperienza di degustarle, anche quelle che non mi sono piaciute, profonda e significativa. Ho elaborato dei pensieri che mi aiutano a valutare veramente la birra, più che a “degustarla”.

Cosa ne pensi? Come valuti la birra? La intellettualizzi in qualche modo o la giudichi semplicemente per quanto velocemente finisci una pinta e quanta voglia hai di ordinarne un’altra? Perché dopotutto, quando guardo una linea di assaggi durante un concorso, di solito il modo più facile di individuare la mia birra preferita è cercare il bicchiere quasi vuoto. 


Testo originale:

https://www.petebrown.net/2017/01/16/tasting-beer-some-thoughts-and/

Autore: Pete Brown

Data di pubblicazione: 16 gennaio 2017


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