di Martyn Cornell
È un piccolo errore, come capitano, ma è in circolazione da almeno 40 anni e compare ovunque, dalla Guida alle birre del mondo di Michael Jackson alle etichette sulle bottiglie di Imperial Extra Double Stout della Harvey. Cerchiamo quindi di chiarire una volta per tutte: Albert Le Coq NON era belga.

Le Coq è famoso per essere stato un esportatore, nel XIX sec., di imperial stout da Londra a San Pietroburgo, la cui azienda alla fine acquisì un birrificio in quella che oggi è Tarfu, in Estonia, per brassare l’imperial stout su quello che all’epoca era territorio russo. Il birrificio esiste ancora, ha ripreso il nome A Le Coq negli anni ’90 e dal 1999 brassa un’imperial stout con il suo marchio, anche se alla Harvey di Lewes, nel Sussex, e non in Estonia. Ma qualsiasi riferimento al fondatore dell’azienda, Albert Le Coq, tranne che nella storia ufficiale del birrificio Tarfu, che è quasi interamente in estone, sostiene che fosse belga: non lo era.
Infatti, la famiglia Le Coq era originariamente composta da ugonotti francesi fuggiti in Prussia nel XVII sec. a causa delle persecuzioni religiose subite nella loro terra, a Metz, in Lorena, in seguito alla revoca dell’Editto di Nantes da parte di Luigi XIV nel 1685. Nella loro nuova terra prosperarono, operando soprattutto da commercianti, sebbene uno di loro, Paul Ludwig (o Louis) Le Coq (1773-1824), pronipote di Jean Le Coq, nato a Metz nel 1669, divenne capo della polizia a Berlino. Sembra che Paul avesse un fratello, Jean Pierre Le Coq (1768-1801), nato a Berlino, che commerciava ad Amburgo e anche gli appartenenti al suo ramo della famiglia divennero commercianti di vino e furono proprietari di una casa vinicola a Kempten, vicino a Bingen, ai confini della Renania prussiana.
L’anno prima di morire, Jean Pierre ebbe un figlio che nacque a Berlino (sebbene alcune fonti sostengano che si trattasse di Bingen), di nome Jean Louis Albert, che venne meglio conosciuto con la versione tedesca del suo nome: Albert Johann Ludwig Le Coq. Numerose fonti che risalgono almeno al 1939 dichiarano che l’azienda di famiglia fu fondata come A Le Coq & Co nel 1807, quando Albert aveva solo sette anni: di questo, però, non sembrano esserci prove documentali. E non è nemmeno chiaro quando, e da chi, fu acquisita l’attività vinicola a Kempten. Ad ogni modo, Albert viveva a Kempten nel 1827, quando vi nacque suo figlio maggiore Andreas August.

A un certo punto, negli anni ’30 del XIX sec., Albert Le Coq si trasferì a Londra, sembra per sviluppare gli affari dell’azienda vinicola di famiglia in Gran Bretagna. Nel 1851 Albert dichiarò di vivere in Inghilterra da 20 anni, implicando che si fosse trasferito a Londra nel 1831, sebbene la nascita di tutti i suoi figli incluso il minore, Molli, nato nel 1836 a Francoforte, fosse avvenuta nella stessa regione tedesca di Bingen. Albert era certamente stanziato a Londra nel 1841, quando il censimento lo registrò presso l’indirizzo di Mornington Crescent, St Pancras. Probabilmente, comunque, stava già facendo affari in Gran Bretagna da un po’ di tempo, dal momento che la partnership tra Albert Le Coq e Charles Seidler, commercianti di Mark Lane a Londra che operavano come Le Coq & Co, si dissolse “per mutuo accordo” il 1° luglio 1841. Di lì a un paio d’anni, forse anche meno, Le Coq aveva ampliato la sua attività dal vino all’esportazione di birra a Danzica, Riga e San Pietroburgo e non solo di stout, ma anche di pale ale (come mostrano le etichette delle bottiglie sopraggiunte fino a noi). Una fonte suggerisce che questo commercio fosse stato stimolato dalla possibilità di riempire le stive delle flotte di navi che rientravano dal Baltico verso la Gran Bretagna con orzo economico e di alta qualità proveniente dalla Livonia (che comprendeva parte delle moderne Lettonia ed Estonia) dopo l’abolizione in Gran Bretagna nel 1846 delle Corn Laws che avevano precedentemente imposto alti dazi sull’importazione dei cereali.
La strong stout veniva esportata in Russia dalla Gran Bretagna almeno dalla fine del XVIII sec., nello specifico dal birrificio Anchor di Barclay Perkins a Southwark, precedentemente conosciuto come Thrale. Il pittore paesaggista Joseph Farington, nel suo diario in data 20 agosto 1796, ha scritto: ”Ho bevuto della porter che il Sig. Lindoe aveva preso alla Thrale’s Brewhouse. Ha detto che era stata brassata specificatamente per l’imperatrice della Russia e che sarebbe durata sette anni.” Secondo William Tooke, che scriveva nel 1800, le importazioni medie di porter e birra inglese a San Pietroburgo tra il 1780 e il 1790 avevano un valore di 262.000 rubli all’anno, in un momento in cui il rublo valeva cinque volte la sterlina. Nel 1818 sono state esportate a San Pietroburgo quasi 214.000 bottiglie di porter, mentre nel 1819 poco meno di 122.600 bottiglie.
Sin dall’inizio, le Coq esportò birra in Russia in bottiglie che avevano in rilievo il nome dell’azienda e che i russi riciclarono volentieri: stando a quanto ha scritto Ronald Seth nel 1939, i primi vini russi provenienti dal Caucaso che si fossero mai visti in Gran Bretagna, in mostra al Crystal Palace a Hyde Park in occasione dell’Esposizione Universale del 1851, erano presentati in bottiglie di birra Le Coq riciclate. La Guerra di Crimea, che durò dal 1853 al 1856, impose una breve pausa alle esportazioni in Russia, ma, sempre secondo Seth, alla fine della guerra gli ufficiali russi intrattenevano i loro ospiti inglesi a Sebastopoli con una porter A Le Coq.
Albert si stanziò in Inghilterra in modo abbastanza stabile da decidere di diventare un cittadino inglese, cosa che fece nel 1851 (quando dichiarò di vivere nel paese da 20 anni e quando la sua casa e il suo ufficio si trovavano al numero 1 di Muscovy Court, Trinity Square, Tower Hill, Londra). I suoi partner all’epoca includevano i commercianti di vini e bevande Thomas Butcher e William Henry Howes, John Watson e l’agente marittimo George Lee: a gennaio del 1858 la partnership di Muscovy Court tra Le Coq e Watson si sciolse. Si può intuire l’entità del giro d’affari di Le Coq dal naufragio dell’imbarcazione a vela e motore Olivia del 1869, durante il suo tragitto da Londra a Danzica, quando, durante una tempesta, finì su una scogliera a largo della costa norvegese e affondò poco dopo con un carico che comprendeva bottiglie del birrificio Barclay Perkins esportate con il nome A Le Coq per un valore di 751 dollari, che oggi sarebbero qualcosa come 150.000 dollari.

Albert si ritirò dal commercio nel 1861 e tornò a Berlino, dove morì nel 1875. L’azienda A Le Coq fu lasciata nelle mani di altri due suoi partner: John Turnbull e Richard Sillem. Anche la famiglia Sillem era originaria della Germania, di Amburgo, dove i suoi componenti operavano come commercianti da almeno il XVI sec. e dove devono aver conosciuto il padre di Albert. Il padre di Richard, Herman, si era trasferito in Inghilterra all’inizio del XIX sec. Ad ogni modo, Richard Sillem morì all’età di 37 anni nel 1866 e fu evidentemente sostituito nella partnership da suo fratello Oscar Hyde Sillem, nato nel 1838. Dopo la morte di Albert Le Coq, suo figlio Andreas August non mostrò più interesse per l’attività londinese di esportazione di birra, preferendo, a quanto pare, gestire l’azienda di semi che aveva aperto a Darmstadt, nell’Assia, e nel 1881 l’attività di esportazione fu venduta a Oscar Sillem, nonostante operasse ancora con il nome A Le Coq. (Intanto, in Germania, i Le Coq erano assurti ai ranghi della democrazia diventando i Von Le Coq: il pronipote di Albert, August Robert Gerhard Albert von Le Coq, fu un ufficiale dell’esercito tedesco e morì nel 1917, all’età di 20 anni, sul fronte occidentale, ironicamente non molto lontano da dove avevano vissuto i suoi predecessori due secoli prima).
In Inghilterra il business era fiorente e Oscar Sillem non doveva mai nemmeno recarsi in Russia di persona: la birra veniva spedita e i commercianti russi che la compravano si presentavano senza preavviso presso gli uffici di A Le Coq in Orange Street (Southwark) per pagare anticipatamente con rubli d’oro zaristi. L’azienda aveva agenti in tutta la Russia e in Siberia, vendeva anche in Cina e “persino dai misteriosi territori del Tibet era giunta la notizia che le lunghe e slanciate bottiglie di A Le Coq venivano usate come portacandele.” Andreas August Le Coq si trovava in Cina tra il 1852 e il 1855, dopo aver circumnavigato il Capo ed essere arrivato a Hong Kong alla fine del 1851: suo figlio Albert August von Le Coq divenne un famoso esploratore archeologico ed etnografico in Asia Centrale e in Cina (partecipando a quattro spedizioni nel Turkmenistan cinese che permisero di riportare a Berlino centinaia di cassette di materiale.)
All’inizio degli anni ’90, però, gli affari di Le Coq in Russia videro un rapido declino e nel 1895 Oscar inviò suo figlio ventottenne Herbert Oscar Sillem a San Pietroburgo per indagare sui motivi del calo degli ordini. All’epoca Herbert non parlava russo, ma aveva studiato in Svizzera e parlava tedesco e francese. Quest’ultima lingua era di particolare utilità per affrontare l’imprenditoria di San Pietroburgo dal momento che il francese era la lingua preferita per la comunicazione nell’alta società russa.
Herbert individuò velocemente due grandi problemi. Il primo erano gli elevati dazi imposti alle birre d’importazione, oltre agli ingenti costi di trasporto applicati alle birre importate dalle ferrovie russe, quattro o cinque volte superiori rispetto alle birre locali. L’unione di questi due fattori fece alzare il prezzo dei prodotti A Le Coq sul mercato russo, ostacolandone la vendita rispetto ai più economici marchi locali. Il secondo problema era l’enorme quantità di Imperial Extra Double Stout A Le Coq contraffatta, prodotta da “diversi” birrifici. Agendo come suo stesso detective, Herbert Sillem scoprì “enormi” magazzini a San Pietroburgo pieni di birra A Le Coq contraffatta. Quando denunciò questo fatto alla polizia, però, non successe nulla.
Il ministro delle finanze russo disse esplicitamente a Herbert che non sarebbero state effettuate variazioni agli ingenti dazi di importazione e i Sillem alla fine decisero che per proteggere i loro affari avrebbero dovuto trasferire le loro sedi a San Pietroburgo e iniziare a imbottigliare in Russia, soprattutto dopo che le tasse di importazione videro un ulteriore aumento del 50% nel 1900 che fece alzare il costo, che nel 1881 ammontava a 15 copechi, fino a 72 copechi per bottiglia da un quarto di gallone (1,136 litri). Nel 1906 venne quindi affittato un magazzino a Italyanskaya, a San Pietroburgo, poco lontano dalla Prospettiva Nevskij, dove venne installato uno stabilimento di imbottigliamento, mentre Sillem viveva lì accanto, all’Hotel d’Europe. A Le Coq abbandonò il suo fornitore di lunga durata, Barclay Perkins, e iniziò invece a rifornirsi della birra che imbottigliava in Russia da un altro grande produttore di stout e porter londinese, la Reid & Co, che nel 1898 si era accorpata con due dei suoi rivali per formare la Watney Combe & Reid, che per molti anni aveva prodotto una “Russian stout” forte, con un OG di 1100.
I Sillem iniziarono anche a cercare un birrificio in Russia che consentisse loro di brassare la propria Imperial Extra Double Stout (invece di doverla importare dall’Inghilterra) e vedere quindi i loro prodotti tassati come locali piuttosto che stranieri. Alcuni avevano dubbi che la stout potesse essere brassata con successo in quel territorio, ma Oswald Pearce Serocold, un dirigente della Reid, promise “consulenza e supporto” al fine di permettere a un birrificio in Russia di brassare una buona stout.

Prima di ciò, verso il 1903, A le Coq aveva iniziato a vendere la Imperial Extra Double Stout in Inghilterra, nel formato pinta e mezza pinta, pubblicizzandola sulle riviste Country Life e Golf Illustrated come “Incomparabilmente superiore a qualunque altra per le sue proprietà nutritive ed energizzanti… una bevanda senza pari per tutti coloro che sono abituati al duro esercizio fisico e all’esposizione a condizioni climatiche avverse.” La rivista Lancet ne fece una recensione, così come fece per altre birre, indicando che la stout, “finora spedita esclusivamente in Russia”, aveva un abv di 11,61, “un ricco sapore maltato”, “una proporzione molto notevole di nutrienti” ed era “priva di eccessiva acidità”.
Alla fine, nel 1911, dopo aver cercato a lungo un birrificio in Russia, i dirigenti di A Le Coq scelsero il birrificio Tivoli di Dorpat, Livonia, la città che oggi è conosciuta come Tarfu, nell’odierna Estonia. L’azienda era stata avviata nel 1827 da un uomo di nome Justus Reinhold Schramm e nel 1894-96 era stato costruito un nuovo grande birrificio fornito di attrezzatura moderna, inclusa una recente malteria a tamburo considerata solo la seconda del suo genere al mondo. Ad ogni modo, Julius Moritz Friedrich, proprietario dal 1885, aveva deciso di vendere. L’acqua del birrificio, ricavata da fori di trivellazione, fu testata e risultò essere idonea a “qualunque utilizzo pratico, identica all’acqua del London Brewery che ha finora rifornito i Signori A Le Coq and Co” e fu acquisita per £91.000.
Nel tentativo di attirare potenziali investitori, nel 1912 A Le Coq disse che l’azienda Tivoli, una volta ampliato l’impianto brassicolo, sarebbe stata in grado di fornire “una Stout di prima classe a un prezzo alla portata del grande pubblico russo.” Oswald Serocold aiutò A Le Coq a trovare un birraio inglese e un maltatore in grado di produrre stout nel nuovo stabilimento di Dorpat. La prima partita campione di stout fu prodotta nell’aprile del 1913, con un ritardo di tre mesi dovuto a problemi riscontrati con i progetti del nuovo impianto brassicolo, realizzati in Inghilterra. Purtroppo per gli investitori inglesi di A Le Coq, poco più di un anno dopo l’inizio dei tentativi di brassaggio all’interno dei confini dell’impero russo, scoppiò la prima guerra mondiale e la Russia proibì infine l’alcol come misura di sostegno allo sforzo bellico. Poi arrivò la rivoluzione russa che tagliò fuori il birrificio, ora situato in un’Estonia indipendente, dal suo più vasto mercato.
Nonostante tutto, nel 1921 il birrificio A Le Coq riaprì i battenti con i Sillem in quella che era ormai Tartu, producendo lager chiara e scura per il mercato estone e negli anni ’20 produsse circa un terzo di tutta la birra brassata in Estonia. Nel 1926 riprese la produzione dell’imperial stout. Nel 1929 ci fu persino un tentativo di esportare imperial stout in Germania, quando un paio di confezioni di bottiglie furono spedite ad Amburgo, tentativo interrotto dall’arrivo della Grande depressione. Nel 1937 la stout rappresentava solo lo 0,4% del totale della produzione del birrificio che produceva per un 61% birra pilsen.

Poi arrivò la seconda guerra mondiale e, nel 1940, l’Armata Rossa Sovietica annesse l’Estonia che fu infine incorporata all’URSS. Il birrificio, come ogni altra attività industriale del paese, fu nazionalizzato e il suo ultimo direttore James Herbert, figlio di Herbert Sillem, lasciò l’Estonia: lui e gli altri azionisti di A Le Coq alla fine vennero risarciti dal governo inglese nel 1969 per la proprietà del birrificio con denaro ottenuto vendendo le riserve auree dell’ex Repubblica d’Estonia che erano state congelate nella Banca d’Inghilterra. Durante l’occupazione nazista in Estonia, il birrificio Tivoli fu attivo con il nome di Bierbrauerei Dorpat e circa l’80% della sua produzione veniva consumata dai soldati tedeschi. Dopo che i Sovietici tornarono a occupare il territorio nell’autunno del 1944, il birrificio Tartu divenne una della più importanti attività brassicole dell’URSS, nonostante non producesse più stout.
Nel 1991 l’Unione Sovietica collassò e l’Estonia dichiarò la propria indipendenza. Nonostante il birrificio fosse ancora di proprietà dello Stato, il nome A le Coq fu ripreso per alcune marche di birra nel 1992. Nel 1994 brassò stout per la prima volta dopo decenni, anche se i critici la descrissero come “un po’ troppo simile a una lager.” Un anno dopo il birrificio Tarfu fu privatizzato e nel 1997 fu acquisito dalla Olvi Oy, l’ultimo grande birrificio indipendente rimasto in Finlandia, che nel 2003 rinominò l’intera attività estone A Le Coq Ltd.
Nel frattempo, lo scrittore di birra Michael Jackson aveva citato l’Imperial Extra Double Stout di A Le Coq nella sua Guida alle birre del mondo, pubblicato nel 1977. A quel tempo l’unica Imperial Stout ancora brassata era quella originaria di Barclay Perkins, ora prodotta dall’azienda che nel 1955 aveva rilevato la Barclays, Courage, il cui birrificio si trovava accanto a Tower Bridge, a Londra. Ma negli anni ’90 l’Imperial Stout veniva prodotta da un crescente numero di birrai americani e nel 1998 un importatore americano, evidentemente ispirato dal racconto di Jackson di una genuina Russian Stout russa, decise di tentare di ottenerne una versione autentica. Il birrificio Tarfu fu felice di dare il nome A Le Coq a questa birra, ma gli accordi previdero che venisse brassata in Inghilterra e gli estoni insistettero che si trattasse di un piccolo birrificio indipendente con esperienza nel brassaggio di birre porter. L’azienda selezionata fu la Harvey & Son di Lewes, nel Sussex. Quello che non potevano sapere coloro che la selezionarono è che il mastro birraio della Harvey, Miles Jenner, proveniva da una famiglia che aveva di fatto brassato imperial stout nel proprio birrificio di Southwark nel XIX sec., molto tempo prima di trasferirsi sulla costa.
Jenner e il suo team iniziarono a cercare di ricreare una ricetta per l’Imperial Extra Double Stout facendo riferimento ai ricordi dei birrai che avevano prodotto la Russian Stout del Barclay Perkins negli anni ’50. L’acqua del pozzo alla Harvey era simile a quella utilizzata dalla Barclay: i livelli di carbonato di calcio, solfato di calcio e cloruro di sodio erano analoghi e questi livelli di minerali corrispondevano a quanto riportato dalle antiche descrizioni della migliore ricetta possibile di stout. Gli ingredienti erano: 54% di malto Maris Otter pale, 33% di un misto di malti amber, brown e black e 13% di zucchero invertito, per una gravità originale di 1106 e un grado alcolico finale del 9%. Storicamente, il tasso di luppolo era di 15 libbre (6,8 kg) per quarto, ma Jenner e il suo team decisero di abbassare la cifra a 11 libbre per bilanciare la maggiore quantità di alfa acidi contenuta nei moderni luppoli rispetto al passato. Anche così, le risultanti 6 libbre a barile erano sei volte superiori alla quantità di luppolo che conteneva la miglior bitter di Harvey.

Il primo brassaggio ebbe luogo nel 1999 e dopo nove mesi di rifermentazione la birra fu imbottigliata in bottiglie con il tappo di sughero e lanciata sul mercato nel febbraio del 2000. I consumatori si entusiasmarono per il suo complesso mix di aromi. Ma all’insaputa della Harvey, qualcosa stava ancora avvenendo nella birra: un lievito selvaggio chiamato Debaromyces hanseni era in agguato nelle bottiglie e dopo nove mesi iniziò a farsi conoscere, consumando i restanti zuccheri “pesanti” e producendo anidride carbonica che iniziò a spingere via i tappi di sughero. Fortunatamente, il Debaromyces aggiunse un’ulteriore complessità aromatica al prodotto finale, oltre ad elevarne il grado alcolico, e Harvey fu ben contento di lasciargli fare il suo lavoro, prolungando di tre mesi il tempo in cui la birra rimaneva nei tank in modo da permettergli di terminare. La rifermentazione conclusiva, attivata dai lieviti selvaggi, era infatti il tocco finale di autenticità: non c’è dubbio che la Russian Stout originale del XIX sec. fosse in parte fermentata anche da lieviti selvaggi come i Brettanomyces.
Oggi l’Imperial Extra Double Stout A Le Coq viene brassata una volta l’anno, 27 barili alla volta, e viene maturata in tini di acciaio inossidabile o vetrificato. La Harvey al momento imbottiglia anche quella che Miles Jenner chiama una “nuova” versione della birra, di sei settimane di fermentazione, venduta con il nome Prince of Denmark. “All’inizio all’abbiamo prodotta per divertimento per il Copenhagen Beer Festival,” dice Jenner. “Era raffreddata, filtrata e pastorizzata, ma era sorprendentemente buona e abbiamo continuato a farla dal momento che la gente si stanca costantemente di aspettare la nuova IEDS vintage mentre noi ponderiamo sul fatto se sia pronta o meno! Detto ciò, non è male e tra i vari premi ha vinto anche il Supreme Championship all’International Beer Challenge nel 2012, battendo la IEDS nel trofeo Stout e Porter. Queste sono le inaspettate gioie del brassaggio!”
Testo originale:
http://zythophile.co.uk/2017/03/10/albert-le-coq-is-not-a-famous-belgian/
Autore: Martyn Cornell
Data di pubblicazione: 10 marzo 2017
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Ciao. Articolo molto interessante 🙂
Grazie (a te e a Martyn Cornell per avermi dato la possibilità di tradurlo e diffonderlo!)
Di nulla! 😉